Bitcoin vuole essere l’equivalente digitale dell’oro: scarsità in ambito digitale incensurabile, non controllata da nessuno, decentralizzata. Libra sarà, invece, una soluzione centralizzata controllata dalla Libra Association, una no-profit costituita in Svizzera da Facebook ed i suoi partner. Nell’associazione sono presenti tra gli altri: Mastercard, Visa, PayPal, Vodafone, Uber, Spotify, Andreessen Horowitz, Coinbase, Xapo, Stripe; mancano invece le banche e le grandi aziende tecnologiche che competono con Facebook.
Utilizza tecniche crittografiche ed un network peer-to-peer, soddisfa quindi i requisiti che il senso comune attribuisce al concetto di criptovaluta. Ha anche l’ambizione di essere permissionless, ma il controllo centralizzato avrà molte sfide, sia in termini di governo della piattaforma (cosa succede in caso di contrasti tra i partner) che di requisiti regolamentari (ad esempio, il rispetto della normativa antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo). Preoccupa, inoltre, il tema della privacy, su cui già in passato Facebook ha avuto episodi pessimi: è inquietante l’idea che domani possa conoscere anche tutte le nostre transazioni finanziarie.
Per ora sappiamo che dovrebbe essere una criptovaluta non speculativa, perché con valore stabile grazie a riserve in valute e titoli di stato. Sfruttando gli oltre 2 miliardi di utenti Facebook, mira ad essere una moneta globale, utilizzabile per i pagamenti e le rimesse internazionali, integrata anche nei sistemi di messaggistica come WhatsApp e Messenger. Il lancio è previsto per il primo semestre 2020, sempre che i regolatori internazionali non si oppongano o rallentino/snaturino il progetto.
Fondamentalmente il white paper che descrive il progetto, l’anticipazione di Calibra, il wallet a cui sta lavorando Facebook, la rete di test e la documentazione per gli sviluppatori.
Potrebbe smarcare definitivamente la diffidenza verso le cosidette criptovalute ed in generale le forme digitali e private di trasferimento del valore, ponendo fine al “paleolitico” delle transazioni finanziarie lente (anche oltre due giorni), costose, costrette in definiti confini nazionali o valutari. E questo potrebbe avvantaggiare anche Bitcoin, che di suo aggiunge il non essere inflazionario (non è creato per perdere valore in termini di potere d’acquisto): Libra moneta transazionale, stabile nel potere di acquisto ed utile per i pagamenti, Bitcoin bene rifugio incensurabile, attraente dal punto di vista speculativo. Perdono invece terreno R3, PayPal, SatisPay, le alt-coin con ambizioni velleitarie come Bitcoin Cash, Ripple, LiteCoin, Tether ed in generale gli stable coin. Anche Lightning Network, se inteso come piattaforma per un Bitcoin transazionale, potrebbe soffrire della concorrenza di Libra.
Oggi Libra non ci sarebbe se la strada non l’avesse aperta Bitcoin dieci anni fa. E di Bitcoin c’è bisogno come e più di prima, se si comprende il suo ruolo nella storia della moneta. Su questo argomento può essere utile il mio recente TEDx: bitcoin come bene di riserva che si potrà utilizzare a garanzia di nuove monete private. Il punto debole di Libra, oltre alla censurabilità, sono proprio le riserve a garanzia, denominate in valute inflazionarie che perdono valore: qualcuno, infatti, parla già della possibilità di includere anche Bitcoin.
]]>Un ventennio di governo è misura pericolosa non solo per Mussolini, ma anche per Roberto Formigoni, perché il potere corrompe, lentamente ma inesorabilmente, incrostando sintonie che diventano connivenze e ruoli che diventano privilegi. Per questo l’alternanza è decisiva in politica. Per di più, erano evidenti nell’ultimo Formigoni preoccupanti segnali di involuzione narcisistica e senescente, sia nello stile mondano che nell’intelligenza politica.
Inoltre, se il diritto è sempre solo una approssimazione imperfetta della giustizia, in Italia questa evidenza è continuamente aggravata da strumentalizzazioni e disprezzo per la verità. Ad esempio, si fatica a rintracciare il concetto di responsabilità personale in decisioni approvate da Consiglio e Giunta Regionale, nonché l’applicabilità retroattiva di norme come il decreto spazza-corrotti.
Chiarite queste due premesse, occorrerà però sollevare la voce per rivendicare un giudizio politico e culturale su cosa sia il bene comune. Formigoni ha creato in Lombardia il più efficiente sistema sanitario d’Italia, senza deficit per le casse pubbliche: se nel farlo è stato davvero in grado di “dirottare” pure 6 milioni per sé (soldi non trovati) e 61 verso amici… ad un manager di capacità così straordinaria dobbiamo fare una statua in piazza Duomo, altro che mandarlo in carcere. Il disprezzo meglio riservarlo a quei politici inetti e demagogici (onesti, idioti o furfanti che siano) che intossicano la scena politica italiana e dilapidano le risorse pubbliche. Io ho visto mia madre spegnersi assistita dalla sanità pubblica lombarda e mia suocera spegnersi assistita dalla sanità pubblica calabrese: tanto basta a sigillare un giudizio chiaro ed inappellabile.
Sulla vicenda in sé non saprei dire meglio di Vittorio Feltri (https://www.tempi.it/feltri-formigoni-in-carcere-senza-prove/) e Piero Sansonetti (https://youtube.com/watch?v=yTcr-QRGWJU), ma vorrei aggiungere due riflessioni a quelle di Giovanni Sallusti (https://www.nicolaporro.it/ad-avercene-di-governatori-come-formigoni/).
Formigoni ha il ruolo storico di aver fatto capire in Italia che pubblico non vuol dire necessariamente statale, unico esempio rilevante di sussidiarietà cattolica e di neoliberismo intelligente. Capisco il fascino della retorica giustizialista, giacobina e pauperista, dell’idolatria verso lo Stato fonte e garante di diritti e benessere (non è questo il momento di chiarirne gli equivoci drammatici), ma mi rammarico che nemmeno di fronte al miglioramento concreto e misurabile della propria vita quotidiana l’opinione pubblica riesca a maturare un giudizio chiaro.
Formigoni sconterà la sua pena (speriamo giusta, o almeno aggiustata secondo diritto…): sono le regole del gioco a cui ha scelto di giocare, perdendo questa ultima partita. Sono certo saprà trovare ragioni e significato per affrontare questa esperienza. Ma a noi compete un giudizio “non giudiziario”, ineludibile, su cosa sia il bene comune e come vada perseguito ed aiutato. Non difendere ad alta voce la sostanza dell’esperienza formigoniana, questa è mancanza di carità verso il prossimo, è mancanza di amore alla verità.
Per uno come me, troppo ciellino per tanti, ma troppo poco per essere allineato, il caso Formigoni è anche l’ennesima dolorosa constatazione dell’involuzione intimista, socialista e bergogliana del cattolicesimo italiano e di CL. Nessuno tenta più un giudizio sul bene comune che non sia la riproposizione ignorante e politicamente corretta di luoghi comuni come dialogo, accoglienza, ambiente, onestà, lotta alle diseguaglianze. Viva la diseguaglianza tra Lombardia e resto d’Italia, viva la disonestà di Roberto Formigoni, viva la sussidiarietà della dottrina sociale, viva la mano invisibile paleo-liberista di Adam Smith, viva il desiderio che muove il cuore dell’uomo, viva la responsabilità personale, viva la Rule-of-Law, viva la fede, la speranza e la carità. Voi tenetevi pure i vostri rosari in sagrestia, i vostri comunicati tentennanti e smarriti, il vostro volontariato da ONG.
]]>La distributed ledger technology (DLT), basata su un registro contabile condiviso e distribuito, è in una fase iniziale di sviluppo. A volte confusa con la tecnologia blockchain utilizzata da bitcoin, si suppone ne sia l’evoluzione sviluppata per evitare le scelte architetturali che rendono la blockchain inadatta per il regolamento delle operazioni finanziarie. DLT beneficia della popolarità di blockchain che, a sua volta, deriva dalla resilienza di bitcoin; in realtà mancano implementazioni DLT in ambiti di produzione e non ci sono nemmeno specifiche tecniche rigorose che la descrivano, oltre il generico concetto di libro mastro condiviso che utilizza strumenti crittografici.
“La comprensione della tecnologia è molto in ritardo rispetto al clamore [che la accompagna; blockchain] sembra promettere importanti cambiamenti per i mercati dei capitali e altri servizi finanziari, ma pochi possono dire esattamente come o perché” (Mainelli, Milne). Essendo al crocevia di teoria dei giochi, crittografia, computer networking e teoria monetaria, blockchain richiede infatti competenze complesse per essere correttamente compresa.
Dal punto di vista tecnico, la blockchain è una struttura sequenziale di dati: un nuovo blocco di dati può solo essere appeso in coda; per modificare un blocco dati nel mezzo della catena esistente, tutti i blocchi successivi devono essere modificati, rendendo questa operazione computazionalmente inefficiente. Una blockchain non è adatta per la manipolazione dei dati: è progettata specificamente per il compito idiosincratico dell’immutabilità.
Dal punto di vista funzionale blockchain è un libro mastro digitale, condiviso in modalità peer-to-peer tra i nodi di un network. Ogni nodo ha una copia di questo registro contabile pubblico, sul quale sono annotate tutte le transazioni. Raggiungere il “consenso distribuito”, cioè la certezza che tutti i nodi vedano la stessa versione del registro e quindi le stesse transazioni, è un problema informatico per il quale esistono teoremi che provano l’impossibilità deterministica di una soluzione. In bitcoin la soluzione è raggiunta probabilisticamente tramite uno stratagemma di teoria dei giochi, fornendo cioè incentivi economici affinché i nodi siano onesti. L’esistenza di una valuta virtuale associata alla blockchain, cioè di una risorsa digitale intrinseca alla blockchain medesima, è per questo fondamentale: consente di avere quei proventi di signoraggio utilizzabili per fornire l’incentivo economico necessario al raggiungimento del consenso distribuito della rete. Nel caso di bitcoin, il consenso distribuito riguarda la cronologia delle transazioni ed è ottenuto da volontari, indipendenti ed anonimi (i cosiddetti minatori), che competono tra loro per ottenere bitcoin nuovi di zecca, la ricompensa economica associata alla validazione onesta delle transazioni.
Ha senso considerare una blockchain senza bitcoin, senza cioè un asset digitale nativo intrinseco alla blockchain medesima? Non avere bitcoin implica non avere risorse disponibili per premiare il lavoro volontario dei validatori, che devono quindi essere centralmente reclutati per la convalida delle transazioni. Se i funzionari sono nominati da qualche organizzazione centrale, perché dovrebbero scegliere di usare una blockchain, cioè una struttura dati subottimale, invece di un efficiente database condiviso? Dal momento che l’interesse per le valute virtuali all’interno dei mercati finanziari è rimasto finora marginale, la maggior parte dell’interesse per DLT sembra in realtà ridursi a generici miglioramenti crittografici ottenuti accoppiando messaggistica sicura e database condivisi. È un grande bluff parlare di “registro condiviso” senza spiegare come si possa raggiungere il consenso sullo stesso. Inoltre, molti dei millantati vantaggi della DLT o non sono davvero auspicabili o non sono realmente esclusivi di questa tecnologia.
Il clearing e il regolamento istantaneo delle transazioni sono probabilmente la promessa più interessante della DLT: tuttavia, in un mondo di transazioni finanziarie che avvengono in nanosecondi, tale risultato non è realmente impedito da limiti tecnologici. Nell’attuale struttura dei nostri mercati finanziari, clearing e regolamento istantanei sono difficili principalmente a causa di quello che potremmo chiamare “consenso da riconciliazione”: un processo di controlli e saldi, basato sulla riconciliazione di molteplici indipendenti registri contabili, che consente l’implementazione delle prescrizioni normative e la possibilità di correzioni e restrizioni operative. Al fine di ridurre il lasso di tempo di questi processi, è possibile migliorare l’attuale tecnologia dei database e le pratiche di automazione attraverso l’utilizzo di strumenti crittografici, ma è difficile immaginare di superare normativamente ed operativamente il “consenso da riconciliazione”. Anzi, l’unica alternativa incoraggiata e condivisa per ottenere efficienza ed affidabilità è il “consenso centralizzato” tipico delle clearing house. È, infatti, opinione diffusa e fondata che qualsiasi forma di consenso nei mercati finanziari debba fornire meccanismi di regolazione e ricorso basati su norme soggette alla revisione periodica, alla gestione e all’approvazione di autorità regolamentari: impossibile conciliare davvero questa intrinseca centralizzazione con forme di consenso decentralizzato.
Inoltre, per il clearing e il regolamento istantaneo delle transazioni su DLT è fondamentale l’esistenza di una qualche forma di moneta blockchain utilizzabile per i pagamenti, altrimenti diventa impossibile il paradigma delivery-versus-payment. Le valute virtuali non sono per ora legittimate in tale ruolo ed una moneta blockchain con corso legale non è ancora disponibile. Anzi, l’idea di fornire un accesso diretto a moneta di banca centrale su un registro distribuito è ritenuta pericolosa per il sistema bancario: come sottolineato da Mark Carney, Governatore della Bank of England, “significherebbe che le persone avrebbero accesso diretto all’asset senza rischi per eccellenza. Nella sua forma estrema potrebbe fondamentalmente, e probabilmente in maniera brusca, rimodellare il sistema bancario. Tuttavia, se dovesse coesistere con l’attuale modello bancario, potrebbe esacerbare il rischio di liquidità abbassando le frizioni implicite nella corsa alla moneta della banca centrale”. In altre parole, tutti preferirebbero possedere moneta di banca centrale invece di moneta di banca commerciale: un enorme rischio sistemico che distruggerebbe la stabilità dei meccanismi di raccolta dei depositi e dell’erogazione del credito.
Ancora più inconsistente è il caso della DLT nelle transazioni in derivati, in particolare quelle con lunghe scadenze. Anche immaginando di poter accantonare in moneta blockchain l’importo delle garanzie da fornire a copertura delle operazioni in derivati, queste garanzie sono correlate al rischio del portafoglio in essere tra due controparti: la misura di tale rischio dipende dai modelli di valutazione scelti ed è computazionalmente pesante. In un ambiente DLT non è chiaro quale agente effettuerebbe queste valutazioni, quali modelli dovrebbe usare e quale sarebbe il suo incentivo economico nel sobbarcarsi tale compito. Inoltre, l’automazione del pagamento dei margini di variazione dovrebbe essere attuata tramite un accesso programmatico ai fondi di garanzia, il che comporterebbe enormi rischi operativi. Da ultimo, se anche si trovasse una soluzione affidabile per i frequenti pagamenti dei margini di variazione, il default della controparte lascerebbe comunque esposti a quei rischi di mercato solitamente coperti dal margine iniziale: insomma, il margine iniziale sarebbe ancora richiesto, senza che DLT possa fornire i millantati benefici in termini di riduzione del capitale immobilizzato a garanzia. Infine, in un mondo di eccessiva automatizzazione, semplici anomalie operative o inceppamenti nei pagamenti automatizzati potrebbero addirittura innescare improprie procedure di default: un rischio operativo enorme che vanifica molti dei benefici immaginati.
In generale, il miraggio dei bassi costi operativi associati alla blockchain deriva dalla falsa impressione di transazioni gratuite: in realtà, se si prendono in considerazione le rendite da signoraggio che coprono i costi del “consenso distribuito”, ogni transazione sulla blockchain bitcoin ha un costo di circa 5-10 dollari. Non sono ancora state dimostrate forme di consenso distribuito meno costose ed in ogni caso il costo della loro integrazione nell’infrastruttura esistente non sarebbe irrilevante.
Se abbandoniamo la vacuità dell’idea generica di registro distribuito e torniamo invece all’unica tecnologia blockchain realmente funzionante, quella di bitcoin, possiamo scoprirne un’applicazione spesso trascurata, interessante anche per i mercati finanziari: i servizi di notarizzazione. La blockchain bitcoin (cioè la più sicura, dal momento che lo sforzo/costo per la sua manipolazione è proibitivo) può essere utilizzata per apporre una marcatura temporale su documenti digitali, ancorando quantità di dati arbitrariamente grandi e numerose alla sicurezza derivante dall’immutabilità blockchain. L’hash-value di una base dati, cioè un identificativo equivalente ad una univoca impronta digitale, viene associato ad una transazione bitcoin, come se venisse scritto nel campo “causale” della transazione. Il sistema di sicurezza che impedisce la manipolazione della transazione bitcoin garantisce anche l’immutabilità e la datazione (marcatura temporale) non ripudiabile dell’hash-value. Viene quindi implicitamente certificata l’esistenza di quella base dati, consentendo a tutti di verificarne la mancanza di alterazione e la datazione. Questo processo generico è stato standardizzato per ottenere marcature temporali verificabili da terze parti: broker e dealer potrebbero usarlo per soddisfare le prescrizioni normative sulla conservazione dei dati a prova di manomissione.
La DLT ha generato finora aspettative non realistiche: non abbiamo ancora visto alcuna applicazione concreta della chimera nota come “blockchain senza bitcoin”. Nulla nemmeno da consorzi come R3, HyperLedger o l’Enterprise Ethereum Alliance, che hanno ottenuto investimenti per centinaia di milioni ed hanno tra i partecipanti tutte le principali istituzioni finanziarie, società tecnologiche e di consulenza. Bisogna saper distinguere tra euforiche esagerazioni e la cruda realtà; al massimo, ci si può attendere il possibile rafforzamento di processi esistenti con tecniche crittografiche rese popolari da bitcoin: database con steroidi crittografici. È un po’ come se nell’esplosione nucleare di bitcoin, il fallout radioattivo sia rappresentato dalla crittografia applicata.
Piuttosto, si dovrebbe dedicare maggiore attenzione alla disponibilità, per la prima volta in assoluto in ambito digitale, di un bene scarso, trasferibile ma non duplicabile: bitcoin. Questo potrebbe rivelarsi l’equivalente digitale dell’oro, potenzialmente rilevante nella storia della civilizzazione, della moneta e della finanza tanto quanto lo è stato l’oro fisico. La moneta di Internet, lo stack TCP/IP per la trasmissione del valore: una dinamica ben più interessante della chimera blockchain o DTL. C’è da sviluppare l’intero ecosistema di servizi finanziari per questo nuovo asset: ad oggi ci sono le prime borse di scambio e sono arrivati i contratti futures a Chicago, ma ancora mancano opzioni e soprattutto banche depositarie. Non è utile oggi una blockchain per la finanza, piuttosto è urgente la finanza della blockchain.
* Originariamente pubblicato per Borsa Italiana.
]]>La promessa che viene sempre rilanciata quando si parla di blockchain o del suo sinonimo distributed ledger technology (DLT) è quella di ottenere un incremento significativo dell’efficienza operativa, grazie alla riduzione - se non addirittura eliminazione - di passaggi e interventi nella catena dell’intermediazione mobiliare.
Anche una posizione cauta, se non addirittura scettica, come quella espressa dall’European Securities and Markets Authority (ESMA) nella sua consultazione pubblica sull’applicazione di DLT ai mercati mobiliari del giugno 2016, fu travolta da dozzine di risposte unanimi nell’ottimismo ed entusiaste per una eccitante prospettiva di innovazione. Il sottoscritto con altri colleghi del Politecnico di Milano presentò invece una visione critica che potrebbe oggi reclamare qualche titolo di merito a fronte, per lo meno, della lentezza con cui DLT sta penetrando l’operatività finanziaria.
D’altronde nuove sperimentazioni e proof-of-concept continuano ad essere annunciate ed è quindi probabilmente prematuro trarre giudizi definitivi. Sarà per questo interessante ascoltare il 20 Novembre alcuni tra i protagonisti internazionali della rivoluzione blockchain, per verificare quale sia lo stato dell’arte e quali siano le opportunità più promettenti.
Il sottoscritto aprirà la giornata puntando l’attenzione sul fatto che bitcoin, la scarsità in ambito digitale, rappresenta il vero punto di discontinuità dirompente; tenterò quindi di chiarire quali siano i pilastri fondanti della mia posizione contrarian sulla blockchain. Gli organizzatori mi hanno chiesto di fare il moderatore per tutta la giornata di lavoro, sarà quindi mio piacere stimolare un confronto vivace e pregnante sui profili legali che emergono nella digital economy, gli ultimi sviluppi tecnologici e le applicazioni pratiche tra derivati e smart contracts, asset management e digital transformation, automazione ed equity trading. Pronto a ricredermi delle mie perplessità…
È interessante aggiungere che qualche giorno prima, il 9 novembre, il Salone dei Pagamenti dedica una tavola rotonda a “Criptovalute: cosa sono e come funzionano”: nell’ambito dei pagamenti la sensibilità è già più centrata sul fenomeno bitcoin e dintorni, meno su blockchain in genere. Anche lì sarò moderatore ed il confronto sarà stringente.
Come sempre l’obiettivo di queste iniziative sarà quello di evidenziare assieme quegli elementi qualificanti che permettano al pubblico di maturare una propria fondata opinione. La relativa calma di questo periodo, rispetto a momenti di euforia esagerata ed incontrollata, è la migliore occasione per maturare un giudizio equilibrato: questo sarà discriminante quando la giostra riprenderà a girare vorticosamente. E potete scommettere che accadrà nuovamente e presto.
]]>Anzitutto perché non distingue tra il crimine che colpisce gli intermediari come le borse di scambio con falle nei loro sistemi di sicurezza (rubando bitcoin), dal crimine che invece usa bitcoin nei ricatti online (ransomware), o infine dall’utilizzo in attività criminali tradizionali (spaccio, vendita di armi, terrorismo).
I tre fenomeni hanno crescente rilevanza e per l’ultimo (socialmente il più critico) non viene fornita alcuna evidenza significativa: questo perché il dollaro statunitense rimane lo strumento preferenziale per il traffico internazionale di droga ed armi e, come dichiara Europol, non c’è alcuna evidenza dell’uso di bitcoin nell’attività terroristica.
Il fenomeno dei ransomware è particolarmente interessante: WannaCry, il più famoso attacco di tale tipo, ha raccolto dai riscatti circa 125mila dollari. Si tratta di una cifra sostanzialmente insignificante, specialmente rispetto alla sofisticatezza dell’attacco che è piuttosto ascrivibile alla cyber-war tra stati e corporation internazionali.
Quanto agli attacchi alle borse di scambio insicure, questi sono “fisiologici” un un modo dove pratiche ottimali di sicurezza non sono ancora affermate e dove, nell’euforia generale, in tanti si improvvisano “operatori di settore”. Si tratta di una selezione naturale che screma gli operatori tecnicamente inaffidabili.
Tutte le tipologie di crimine confluiscono poi nel tema del riciclaggio: lavare bitcoin per ottenere dollari puliti o lavare dollari per ottenere bitcoin puliti. In entrambi i casi resta per ora non smentita l’analisi del Tesoro inglese che stima i rischi riciclaggio associati alle valute virtuali all’ultimo posto in una scala che vede al primo posto banche, commercialisti e studi legali.
Le osservazioni sulla crescita di un fattore 3 per i volumi associati a malversazioni nel primo semestre 2018 non hanno significatività reale: il valore di bitcoin è cresciuto di 6 volte rispetto allo stesso periodo del 2017, quindi i volumi in bitcoin sarebbero addirittura diminuiti. Inoltre, è ovvio che una progressiva maggiore diffusione ed accettazione di bitcoin a livello globale lo rende inevitabilmente più appetibile per iniziative criminali. I criminali usano anche internet, aviazione e telefonia cellulare: una focalizzazione sugli usi patologici di uno strumento non possono offuscarne gli utilizzi fisiologici.
Anche la segnalazione dell’uso di bitcoin in operazioni di riciclaggio tramite l’industria del gioco d’azzardo sfiora l’ovvio: valutata come rischio di media rilevanza nello stesso rapporto del Tesoro inglese richiamato prima, l’industria del gioco d’azzardo ha avuto ad esempio un ruolo decisivo nella grande operazione di malversazione dello scorso anno effettuata in dollari statunitensi tramite i sistemi di SWIFT ai danni della banca centrale del Bangladesh: gli importi rubati furono seguiti nei movimenti bancari internazionali fino allo scoglio insormontabile del cambio in gettoni da gioco effettuato presso casinò filippini, probabilmente complici nell’operazione.
Ad oggi bitcoin resta uno straordinario esperimento: la creazione della scarsità in ambito digitale, l’equivalente digitale dell’oro. Quanto dirompente possa essere questo esperimento si capisce riflettendo sul ruolo che l’oro fisico ha avuto nella storia della civilizzazione, della moneta e della finanza. Ovviamente come in tutte le corse all’oro c’è un Far West di fuorilegge, furfanti, ubriaconi e prestigiatori; ma l’oro c’è e luccica. Ed è solo questione di tempo, ma vedremo crescere economie nuove e straordinarie, radicate nel diritto, così come il Far West è stato l’innesco di un sviluppo che ha portato alla nascita di San Francisco e della Silicon Valley.
Aggiornamento: è appena uscito il report Q3, anche se nel dibattito pubblico la discussione è ancora sul report Q2, a cui abbiamo fatto riferimento sopra.
]]>Whoever promotes QR encoded URLs as blockchain must be ridiculed. A legitimate QR code can be simply copied on illegitimate products: as such the landing web page is not reliable at all.
Moreover, it is true and far-reaching that the (bitcoin) blockchain can guarantee time-stamping, but it cannot guarantee validity, correctness, or accuracy of the content being time-stamped. So, despite landing on a legitimate web page, whatever has been time-stamped on the blockchain and is displayed on that web page can be simply false. You can order pizza via e-mail, but it cannot be delivered by e-mail.
Finally, if https is not used, if the time-stamping is not digitally signed, if a non-bitcoin blockchain is used, all these details do compromise the reliability further.
IBM Food Trust, EY Wine Blockchain, this Carrefour attempt, and similar campaigns are just dishonest marketing gimmick, i.e. misleading advertising.
What is infuriating about these initiatives is the attempt to promote trust in non-sound technological choices; according to the noted security expert Bruce Schneier “supply-chain security is an incredibly complex problem” (see The Washington Post): what is an “insurmountable problem right now” for electronics, it is a daunting task for chickens too.
]]>Bear with me while I familiarize with GitHub Pages, Jekyll, MarkDown, and Prose
If you want a similar personal website, start from this quick how-to or here, then also read Blog With Jekyll And GitHub Pages
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